Avevo molta facilità di leggere la musica a prima vista, così mi fu sempre facile trovare lavoro. Appena diplomato partecipai al concorso per un posto di violino al teatro Regio di Torino, ottenendolo. Un incendio distrusse il teatro e continuammo la stagione operistica al teatro Carignano. In seguito entrai alla RAI, allora EIAR. Il desiderio di perfezionarmi mi portò a fare un corso con il maestro Sfilio di Sanremo dal quale appresi molto sulla tecnica della mano sinistra (tecnica Paganini). Poi conobbi il maestro russo (anzi léttone) Jacobsen che scherzando diceva di essere un grande <i>letto.</i> Mi sentì suonare e mi volle a Milano per un corso di perfezionamento. Prima di questo ebbi l’opportunità di andare a Berlino alla scuola del maestro Flesch, ma mio padre disse che ero troppo giovane per andare solo ad affrontare un’avventura così importante. Mi lasciò andare a Milano perché mi affidò ad una famiglia toscana che conosceva. Fui accolto come un figlio. La scuola era in corso Venezia dove attraversato il cortile si entrava in una delle sedi della Pirelli. Dentro c’erano delle cabine dove ogni allievo studiava. Il maestro passava alternativamente da uno all’altro correggendo di volta in volta gli eventuali errori, migliorando in ciascuno di noi l’esecuzione del pezzo che stavamo studiando. Questo per ore e naturalmente gli allievi stranieri erano i più studiosi. Mi ricordo che un polacco di nome Poleski studiava anche otto ore!
Naturalmente eravamo liberi di smettere quando ognuno di noi con il permesso del maestro credeva di aver raggiunto un certo miglioramento. Eravamo tre italiani: Ferrari, Mescoli ed io. Alla fine dell’anno ogni allievo eseguì un pezzo come in un saggio ed ebbi la soddisfazione di ricevere i complimenti dal m.° Marinuzzi della Scala e, non solo elogi, ma anche una proposta di un concerto come solista nel grande teatro milanese suonando il concerto di Wieniawski sul quale il m° Jacobsen mi aveva preparato molto bene. Avrei dovuto eseguirlo nella successiva stagione ( “avrei dovuto” perché prima di firmare il contratto ricevetti la cartolina precetto per il servizio militare. D’accordo con il maestro rimandammo a dopo la naja; <i>dopo</i> che non vidi mai… infatti il primo settembre 1939 la Germania di Hitler invase la Polonia attraverso Danzica. Il 4 dello stesso mese arrivò la cartolina di richiamo alle armi. Raccontare il periodo bellico mi sembra superfluo, tutti sanno quello che è successo, tutti no, perché i giovani non sanno quello che abbiamo passato e non credono a quel che si racconta loro. Quindi parlerò solo di qualche episodio che inserirò durante il mio racconto. Prima dell’armistizio ci fu un periodo di continuo nascondersi, per non cadere nelle mani dei tedeschi o dei fascisti, ed essere spediti nei campi di concentramento in Germania. Avevo trovato rifugio in una villa nella collina torinese, villa appartenente ad una zia di un mio amico e collega pianista. Così passavamo il tempo suonando… ma quando la signora avvistava camionette piene di soldati ci avvisava dando a noi il tempo di fuggire nei boschi fino a pericolo passato, e questo fino al giorno della Liberazione. Facciamo un passo indietro per un altro episodio guerresco! Poco tempo prima dell’Otto settembre ero, dopo un ennesimo richiamo, nel distretto di Torino, mentre i tedeschi avanzavano; infatti mentre il comandante ci faceva un retorico discorso sul come difendere la caserma e distribuiva i fucili a tutti, ma… sik, senza pallottole. Arrivarono i tedeschi e tutto finì con la fuga attraverso il muro crollato sul retro della caserma per i bombardamenti. Presi la bicicletta che avevo e fuori chi trovo? La mia cara Bianca con gli abiti borghesi. Come fece a sapere che io avevo bisogno è strano, però la mia futura moglie era lì ad aiutarmi.
Nel ’44 finalmente libero dalla schiavitù militare passeggiavo in via Po a Torino, erano i primi giorni di marzo ed era una bella giornata annunciante la primavera e stavo pensando che il mese di marzo fosse un mese fortunato per me, infatti incontrai il mio amico Giuseppe Petrini ( violoncellista). Mentre manifestavamo con allegria raccontandoci le nostre avventure guerresche mi viene incontro un altro amico, Ugo Cassiano (violista). Dopo i saluti, immediato venne il pensiero di formare un quartetto. L’amico Petrini ci parlò di un bravo violinista di Crescentino, Umberto Rosmo, il quale, interpellato, accettò con gioia di fare il secondo violino. Cominciammo subito a studiare e dopo qualche giorno, altro incontro fortunato con il m.° Mario Salerno, grande pianista, ma soprattutto bravissimo musicista. Dopo averci salutato apprese le nostre intenzioni e si interessò molto per il quartetto e, avendo abbastanza voce in capitolo alla RAI (allora EIAR), ci procurò un contratto come gruppo strumentale da camera della radio italiana. Fu un periodo felice, tutto il giorno a studiare ed eseguire, in trasmissione diretta, musiche bellissime. Contemporaneamente ci preparammo per il concorso internazionale di quartetto d’archi a Ginevra nel 1945 ottenendo il terzo premio dopo due complessi famosi come Vegh e Parrainin. Eravamo doppiamente felici per il risultato e anche per il fatto di essere dopo il fascismo,liberi di ottenere il passaporto. Per noi Ginevra sembrava un sogno. Il concorso fu interessante e molto serio, basta dire che nella eliminatoria suonavamo dietro un paravento in modo che la commissione esaminatrice non sapesse chi c’era dietro il paravento e… quale sorpresa gradita: vedemmo il nostro numero fra tre finalisti! Ritornati a casa, il maestro Mario Rossi, direttore stabile dell’orchestra sinfonica ci disse “complimenti, allora siete bravi!! Vi voglio in orchestra” e ci fece capire che la nostra situazione cameristica poteva anche finire. In altre parole ci fece paura! Io e Rosmo dicemmo di no, ma la titubanza degli altri due compagni fece sì che per essere insieme entrammo tutti e quattro in orchestra. Però tutto il mal non viene per nuocere, infatti con l’orchestra di prim’ordine e con i più bravi direttori di quel periodo (Walther, Kemperert, Mitropulos, Dobrowen, Cilibidache, Giulini, Pretre, Arturo Basile, ecc.) passai un repertorio sinfonico straordinario anche con grandi solisti, facendo così un’esperienza per il mio futuro come spalla, imparando molto dal nostro capofila, la meravigliosa spalla A. Gramegna.
Nel 1954 sentendo dentro di me il desiderio di cose nuove mi feci trasferire alla Sinfonica di Milano. Vi domanderete il perché lasciai Torino. Il quartetto dopo l’entrata in orchestra non era più quello di prima e qualche incomprensione con il violoncellista Petrini il quale mi combinava dei guai. Più tardi ho capito il motivo: un male lo minacciava! Per questo ho capito il suo modo strano di comportarsi. La nostra amicizia non s’incrinò mai, lo accompagnai, insieme alle rispettive mogli, a Parigi dove fece un controllo del suo male nell’ospedale specializzato per i tumori Madame Curie. Quando con l’orchestra facemmo una tournee in Inghilterra ( Londra, Birmingham, Liverpool, Glasgow, Sheffild, Edinburgo) Petrini era malato e non fu quindi con noi. Io avevo una lettera di presentazione per una persona importante a Londra. Devo raccontare che nel periodo precedente; il famoso 8 settembre (sfacelo dell’esercito italiano) mi trovavo nelle Langhe con i miei amici del quartetto, nascosto per sfuggire ai nazzi-fascisti. Suonavamo in una villa di una gentile signora mentre nascosto ci ascoltava un colonnello inglese, capo dei partigiani, pare. Quindi la lettera di cui ho accennato prima era per questo personaggio che ci aveva ascoltato suonare di nascosto.
A Londra siamo stati nove giorni, in uno di questi essendo liberi dal lavoro, ci recammo, il mio amico Rosmo ed io, da questo misterioso personaggio che ci accolse con molo piacere, ringraziandoci per i felici momenti passati ad ascoltare le belle musiche del quartetto. Sarebbe stata la nostra fortuna poiché ci propose una cena alla quale avrebbe partecipato un grande manager che ci avrebbe ascoltati suonare. Ho adoperato il condizionale, infatti, senza il violoncellista… Però il nostro ospite ci disse di non disperare poiché il manager venendo in Italia ci avrebbe avvisato in quale città avremmo potuto incontrarlo e fissare un’audizione. Purtroppo Petrini rovinò tutto dicendo che poteva ascoltarci per radio! Così finì la nostra speranza ed io fui molto deluso.
Cominciò una nuova vita piena di lavoro e soddisfazioni. Infatti oltre all’orchestra feci parte di un complesso barocco come primo violino solista con il quale , oltre a concerti feci molte incisioni per la Casa Vox, fra queste le famose Quattro stagioni di Vivaldi, concerti Grossi di Corelli, Manfredini, Locatelli ecc. Formai pure (la mia passione) il Quartetto di Milano; Magnani, Tosetti, Gasperini furono nuovi compagni per concerti e incisioni (Galuppi sonata a quattro). In questo periodo partecipai a due concorsi: a Perugia per la cosiddetta Terna, i primi tre che vincevano avevano la facoltà di poter insegnare. Andò bene e questo titolo mi servì in seguito. Alla Scala invece partecipai ad un concorso per il posto di primo violino di spalla. Anche questo andò bene però rinunciai ad entrare alla Scala perché in quel periodo mi trovavo bene dov’ero. Alla Scala feci un concorso solo per avere il titolo. Però ci fu, durante la mia prova un episodio che voglio raccontare: dopo aver suonato per la commissione il mio repertorio, mi fecero affrontare la prova di lettura a prima vista. Dovevo suonare un pezzo di Stravinski molto difficile sotto la direzione del M° Giulini. Era difficile anche da dirigere, infatti ad un punto dell’esecuzione il M° sbagliò mettendomi in imbarazzo: A quel punto il M° Giulini da quel gentiluomo onesto che era si fermò e dichiarò di aver sbagliato lui, salvandomi così da una brutta figura. Quindi tutto andò bene ma io non ho mai dimenticato quel gesto! Ho incontrato molte volte questo bravo direttore, dal gesto netto ed essenziale, in bellissimi concerti.
Penso ora di fare un passo indietro per ricordare il mio passato sentimentale. Nel 1932, avevo 16 anni, poiché mesi prima del diploma il maestro mi mandò da una sua allieva per aiutarla nello studio. Così nacque il primo amore, quello che non si scorda mai. E invece ho dovuto dimenticarla, la guerra ci separò e alla fine seppi che si era sposata e aveva una figlia. A dire il vero per vari anni il 19 marzo ricevetti da lei una cartolina ricordo! Per fortuna apparve la donna (già la conoscevo) che è stata la mia compagna per tutta la vita. Donna straordinaria anche per le sue doti di intuizione quasi di chiaroveggenza. Mi ha sempre seguito ed incoraggiato ad ogni mio tentennamento nel prendere decisioni importanti. Continuando il racconto sul mio periodo milanese, dopo nove anni di lavoro a Milano, una mattina venne a casa mia una commissione per un concorso per un posto di primo violino di spalla per l’orchestra di Città del Messico. Dopo aver suonato tutta la mattina buona parte del mio repertorio, il capo della commissione M° Luis Herrera de La Fluente mi ringraziò andandosene. Pensai di aver fallito la prova e, invece dopo un certo periodo ricevetti un invito con un magnifico contratto. Seppi poi che avevano ascoltato circa ottanta violinisti in tutta Europa, ma, incredibile, avevano scelto me. Questo mi inorgoglì e mi rese felice, ma nello stesso tempo titubante, ma mia moglie, conoscendo il mio carattere mi incitò ad accettare.
Un mio caro amico Alberto Caroldi che era stato sei anni in quell’orchestra come primo oboe volle scrivere una lettera dopo la quale mi arrivò un nuovo contratto ancora migliore “così si fa in Messico, si contratta tutto” mi disse l’amico e constatai più tardi che aveva ragione. Così iniziò l’avventura messicana. Nell’accettare, avevo chiesto se potevano dare un posto al mio compagno violoncellista, cosa che fu accettata. E così partimmo per il Messico, mia moglie, il mio amico violoncellista ed io con bagagli e strumenti. Fu un viaggio avventuroso con fermata notturna in un grande albergo di Copenaghen. Al mattino in taxi per l’aeroporto e partenza per Glasgow dove ci accompagnarono in sala d’atesa al suono delle cornamuse… e finalmente via per New Jork dove tardammo ad atterrare per disguidi nelle piste; quando un po’ spaesati arrivammo alla grande sala d’attesa il megafono ci annunciò che cercavano un certo mister Biffoli (appena arrivato ero già celebre!). Non sapevamo cosa fare quando un ufficiale americano ci riconobbe dagli strumenti e avvicinandosi si presentò e con la jeep ci portò davanti ad una grande aeronave dove ci attendeva il comandante pilota che ci accolse “Vamonos muchachos, es mui tarde”. Ancora in piedi barcollando alla ricerca dei nostri posti, l’aereo era già partito e ci sedemmo allacciando le cinture di sicurezza, quando era quasi il momento di slacciarle. Ed ecco Messico. Che meravigliosa veduta dall’alto attraverso gli oblò! All’aeroporto venne a prenderci il segretario della società con un collega italiano dell’orchestra, il quale da bravo connazionale ci portò in un pessimo albergo in un rione malfamato, dove passammo la notte con rumori e viavai continui. Al mattino il mio amico Paolo voleva prendere il primo aereo per l’Italia. Il direttore Herrera saputo del fattaccio venne di persona e con la sua Mercedes, liquidato il pessimo hotel ci fece ammirare le cose più belle della città portandoci poi in un bellissimo locale (che vedi il caso si chiamava Capri) per fare colazione.
Devo presentare questo Maestro, ottimo direttore d’orchestra e persona squisita dall’aspetto semplice di uomo di cultura (aveva studiato anche a Firenze e parlava bene l’italiano). Facemmo presto amicizia anche grazie a Bianca che con la sua simpatia conquistava tutti. Così trascorremmo tre bellissimi anni in Messico, con molto lavoro (oltre che spalla, solista nell’orchestra da camera, quartetto d’archi, trio d’archi italiano con il quale abbiamo svolto una tournè negli USA). Improvvisamente nel settembre 1965 per motivi di famiglia dovemmo lasciare l’America e tornare in Italia. Ci stabilimmo a Milano dove mi offrirono il posto di violino di spalla nell’orchestra dell’Angelicum dove svolsi anche attività come solista. In seguito, avuta la nomina come insegnante di Musica da Camera nel Conservatorio di Bolzano, ci trasferimmo nel capoluogo dell’Alto Adige, dove presi anche il posto di spalla e solista nell’orchestra Haydn e in un complesso barocco. Anche qui l’amore per il quartetto d’archi non è mancato e lo formai subito con i colleghi dell’orchestra. Undici anni felici a Bolzano ed eccomi in pensione a Torino. Ed ecco che la mia felicità comincia a crollare! A Torino formo un trio e mi accorgo che a poco a poco non sono più quello di prima; alludo a suonare il violino con sempre più fatica nell’eseguire certi colpi d’arco che prima mi venivano con facilità.
Ai primi sintomi di questo declino decisi di smettere le esibizioni pubbliche, limitandomi a studiare in casa e impartendo qualche lezione ad allievi promettenti. Più di dieci anni fa il più grande dolore: la perdita della cara Bianca, dolore questo mai lenito anche se dopo cinque anni di solitudine mi sono risposato con una signora molto più giovane di me. Questo mi ha permesso di soffrire meno del vuoto lasciato dalla mia compagna. Giunto alla mia bella età e qualche acciacco che si fa sentire, posso dire che per tutta la vita ho fatto un lavoro che adoravo e mi ritengo fortunato per quello che ho avuto.
Un consiglio a tutti ed in particolare ai giovani: avvicinatevi con curiosità e passione alla musica! Posso dire per esperienza personale, che la musica crea un forte legame (ho conosciuto tante persone in vari Paesi di culture e lingue diverse che sono diventati amici veri proprio attraverso la musica).
Renato Biffoli
Torino 07-06-2011